Quando si può definire un impianto di sicurezza “a regola d’arte”?
Uno dei temi che interessano gli installatori di sicurezza è quello della cosiddetta “regola d’arte”, ovvero quando un lavoro è fatto alla perfezione e non comporta quindi rischi per chi ci lavora e per chi usufruisce dell’opera. Tale locuzione però trova varie interpretazioni a livello normativo italiano, per questo motivo in questo articolo cerchiamo di capire quali sono le normative che indirizzano gli installatori verso questa direzione, anche per non incombere in rischi a livello giuridico qualora qualcosa – si spera sempre di no – andasse storto.
Partiamo da un presupposto: a livello normativo il settore sicurezza è caratterizzato da moltissime norme e disposizioni normative le quali rischiano talvolta di essere persino antitetiche se non in contrapposizione, relativamente alla responsabilità civile e penale. Un dato di fatto è come gli installatori di sicurezza di fatto vengano associati al settore degli impiantisti elettrici dove alcune parti sono spesso affini se non in comune. In tal senso, il perimetro normativo viene determinato dalle norme CEI/UNI, dal DM 37/08 e dalla Legge numero 186/68. Quando un installatore non rispetta i vincoli di contratto con il committente, la giustizia civile lo può interessare sia per il danno contrattuale che per quello extracontrattuale qualora la cosiddetta “regola d’arte” non venisse rispettata quindi senza prestare quella “diligenza tecnica” legata alle capacità del professionista e alle proprie cognizioni “tecnico-normative”. In caso di rispetto della discrezionalità tecnica oppure di un’imposizione di un’esigenza ritenuta dall’installatore non congrua al lavoro da svolgere, il professionista non deve rispondere del danno davanti a un giudice.
Per entrare nel quadro normativo e capire dove si posiziona la “regola d’arte”, bisogna prendere come riferimenti l’articolo 2224 del Codice Civile, nel quale “il prestatore d’opera è tenuto a procedere all’esecuzione dell’opera secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte”, oppure la Legge 186/1968 sulle “Disposizioni concernenti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari, installazioni e impianti elettrici ed elettronici”. Si legge, nel suo testo: “Articolo 1 – tutti i materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici devono essere realizzati e costruiti a regola d’arte; Articolo 2 – i materiali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici realizzati secondo le norme del Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) si considerano costruiti a regola d’arte”.
Ancora si può andare a leggere la Legge n° 46/1990 sulle “Norme per la sicurezza degli impianti”, sostituita dal DM n° 37/2008 “Regolamento sul riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici”. L’articolo 6 del decreto recita: “Le imprese realizzano gli impianti secondo la regola dell’arte, in conformità alla normativa vigente e sono responsabili della corretta esecuzione degli stessi. Gli impianti realizzati in conformità alla vigente normativa e alle norme dell’UNI, del CEI o di altri Enti di normalizzazione appartenenti agli Stati membri dell’Unione europea o che sono parti contraenti dell’accordo sullo spazio economico europeo, si considerano eseguiti secondo la regola dell’arte”.
Un quesito che ci si pone è: come si lavora a “regola d’arte” quando le norme tecniche (CEI/UNI, eccetera) non trovano applicazione? La domanda viene quando si va a leggere il Decreto Legislativo 81/2008 (il Testo Unico sulla “Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”), il quale all’articolo 81 recita: “comma 1 – tutti i materiali, i macchinari e le apparecchiature, nonché le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici devono essere progettati, realizzati e costruiti a regola d’arte; comma 2 – ferme restando le disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, i materiali, i macchinari, le apparecchiature, le installazioni e gli impianti di cui al comma precedente, si considerano costruiti a regola d’arte se sono realizzati secondo le pertinenti norme tecniche”.
Una soluzione la può fornire la locuzione “Bonus pater familias” che troviamo talvolta nei contratti o comunque nei documenti aventi valore legale. La cosiddetta attenzione del buon padre di famiglia (vedi articolo 1176 del Codice Civile) prevede infatti una condotta che sia prudente, diligente e con un particolare grado di perizia, affinché non possa sussistere una colpa. Il problema è che diventa difficile, a oggi, avere strumenti per certificare che un lavoro sia fatto “a regola d’arte”. Una ciambella di salvataggio è offerta dalla conoscenza delle regole tecniche e giuridiche da seguire: se non altro avere un approccio alle normative di alta specializzazione permette di affrontare con maggiore serenità tutti i problemi facendo in modo che il livello di sicurezza venga garantito al massimo possibile. Ovviamente c’è sempre un però dettato dal tempo: quello che oggi è a norma non è detto domani lo sia. Agli installatori ovviamente non viene chiesto però di prevedere le scelte future dei legislatori o degli enti normativi come CEI e UNI, ma di rispettare quelle attuali.
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