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L’installatore lascia il cantiere anzitempo: quali conseguenze? Ecco cosa dice la giurisprudenza

Da un lato un installatore che lascia un cantiere prima del previsto, denunciando un mancato pagamento da parte del committente. Dall’altra quest’ultimo che rileva una realizzazione non a regola d’arte dei lavori, chiedendo un risarcimento all’appaltante. Chi ha ragione?

Datacom Tecnologie prova a entrare in uno dei problemi che possono capitare a chi si trova a eseguire dei lavori come l’installazione di impianti di sicurezza con l’aiuto dei relativi articoli di legge a sostegno, o meno, dei propri clienti.

La garanzia dovuta dall’appaltatore prevede che il committente possa chiedere che le eventuali difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno, come dall’articolo 1668 del Codice Civile. C’è però in ballo una questione importante: quella dei tempi. Un esempio è quello per cui l’appaltatore lascia il cantiere, emette fattura per quanto eseguito, anche se non completo, per poi aspettare molto tempo ad attivare il decreto ingiuntivo nei confronti del committente dei lavori. In questo caso, se si oppone a sua volta chi ha commissionato i lavori, dove sta la ragione e il torto per legge?

Secondo le ultime interpretazioni del legislatore, di fronte a un mancato completamento dell’appalto e l’abbandono anticipato del cantiere, si ritiene applicabile al diritto al risarcimento dei danni nei confronti dell’appaltatore, il quale dunque dovrà prepararsi a giustificare il proprio operato, in considerazione anche delle norme relative all’onere della prova. Non valgono dunque, in tale circostanza, quanto riportano gli articoli 1667 e 1668 del Codice Civile in tema di garanzia per vizi e difformità delle opere, poiché queste richiedono necessariamente il totale compimento dei lavori richiesti. In una situazione del genere, infatti, il committente avrebbe avuto tempo 60 giorni per denunciare all’appaltatore le difformità o i vizi scoperti, altrimenti non avrebbe più avuto modo di esercitare il diritto all’azione: i lavori, però, dovevano essere completati e non lasciati a metà.

Se l’installatore se ne va e il committente chiede il risarcimento, sarà competenza dell’installatore dimostrare di aver eseguito integralmente i lavori per potere ottenere il pagamento del prezzo residuo e quindi rispondere alla eccezione di inadempimento che gli viene contestata (disciplinata dall’articolo 1460 del Codice Civile). È l’unico modo affinché si veda liquidata quella fattura che aveva emesso una volta che se n’è andato.

Citiamo un passaggio della sentenza della Corte di Cassazione Civile numero 7861 del 19/03/2021, che si addentra in una situazione simile a quella descritta. “In caso di omesso completamento dell’opera, e qualora questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme, non può farsi applicazione delle norme in tema di garanzia per vizi e difformità delle opere di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c., che richiedono necessariamente il totale compimento dell’opera (Cass. 11950/1990), ma, in applicazione della disciplina generale (Cass. 6931/2007), il committente può rifiutare l’adempimento parziale (art. 1181 c.c.) oppure accettarlo secondo la sua convenienza e, anche se la parziale esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione, può trattenere la parte di manufatto realizzata e provvedere direttamente al suo completamento, essendo, poi, legittimato a chiedere in via giudiziale che il prezzo sia proporzionalmente diminuito e, in caso di colpa dell’appaltatore, anche il risarcimento del danno (Cass. 3786/2010; Cass. 2573/1983)”.

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